Con le mani affondate nel fango,
la terra pulsante, oscura madre,
trasudano domande semplici,
tutte le risposte non hanno parole,
cresce un battito sconcertante,
c’è un odore di fresco che invade,
eppure tutto si scalda nel mistero,
ed è un attimo lunghissimo, uno solo,
con quel pianto di gioia irrefrenabile che dolce si smorza,
tutto è nel presente, tutto per sempre.
L’aria s’insinua dalla finestra socchiusa,
con un soffio di sollievo in questa stanza
sorgono cattedrali di carta e polvere, io
mi aggiro, fermo, in equilibrio precario,
mentre il respiro fragile trapassa il vuoto.
Sospeso sopra questo precipizio bianco,
ammiro parole roteanti, canti di cose mute.
E mi sento perduto, in questo svanire
mi ritrovo come uno che non sa più chi è.
Così, per questo smarrimento quotidiano,
sia resa grazia a ognuno degli dei dimenticati,
ad ogni avvento che inatteso mi sorprende.
Il lento sfogliarsi della pelle
nella memoria dei sensi,
le rughe profumate di talco,
le lentiggini del primo amore,
il bruciore della prima paura,
l’assurdità del primo sesso,
il toboga di una schiena,
la sorpresa dei piedi graziosi,
lo stupore delle guance accese,
e questo toccare ed esser toccati,
fa cattedrale di gotica ascesa
dal nostro essere stati ed essere,
all'indicibile mistero dell'addio.
Non contare i passi che percorri nella notte,
ascolta soltanto il suono delle tue scarpe,
dalle finestre chiuse intrufola il pensiero,
muovi le braccia in una lingua muta,
attraversa il silenzio e le sue colonne d’Ercole,
perditi in un’avventura senza più tempo,
e ricorda di ringraziare ciò che dimentichi,
con un sospiro e un sorriso disegnerai
quella gioia impossibile nei giorni spietati.
Certi giorni nascono come dune di sabbia,
pesano sul petto come montagne,
ma senti che il respiro gonfio come un vento caldo,
può dissolverle. Certi giorni sono così,
un atto di nascita e il presagio della fine,
un volo inutile di granelli che si disperdono,
uno stare in piedi nell'illusione di un momento.
Certi giorni, sai, soltanto l’aria dice la verità.